Le calzature vegane sono davvero sostenibili?

Negli ultimi anni, la maggiore attenzione al benessere degli animali e dell’ambiente ha aumentato la diffusione del veganismo, il regime alimentare che esclude dalla dieta tutti i prodotti animali. L’applicazione degli stessi princìpi etici al settore dell’abbigliamento ha portato a una crescente richiesta delle cosiddette calzature vegane, ovvero scarpe e pantofole prive di componenti di origine animale come pelle, lana o seta.

Tuttavia, acquistare capi vegani non significa automaticamente fare una scelta più rispettosa dell’ambiente. La valutazione riguardante la sostenibilità di un prodotto è piuttosto complessa e comprende diversi fattori che riguardano l’intero ciclo di vita, dalla produzione delle materie prime fino allo smaltimento finale.  Vediamone alcuni.

Secondo l'Higg Materials Sustainability Index, uno strumento che misura l’impatto ambientale e sociale del comparto moda, la produzione di materiali di origine animale genera una quantità di emissioni di gas serra maggiore rispetto alle alternative sintetiche. L’Higg Index non prende però in considerazione le fasi successive alla produzione e quindi ignora aspetti importanti come la durabilità di un capo e le possibilità di riciclo.

Se ad esempio prendiamo in esame il primo aspetto, è innegabile che un bene in pelle in genere duri di più rispetto a un prodotto in materiale sintetico. Lo stesso può dirsi di un articolo in lana: secondo uno studio condotto da Nielsen per Woolmark nel 2018, le persone tendono ad affezionarsi agli indumenti in lana e li conservano più a lungo di qualunque altro capo.

Bisogna inoltre ricordare che alcune delle pelli vegane impiegate nell’abbigliamento sono in realtà realizzate con plastica vergine non riciclata, derivata dal petrolio. Anche i pellami di origine vegetale non soddisfano appieno gli standard di sostenibilità in quanto spesso, a causa di alcune componenti sintetiche, non sono biodegradabili.

Un altro fattore da valutare, quando parliamo di sostenibilità ambientale, è il rilascio di microplastiche nei corsi d’acqua. Secondo un’analisi della Norwegian Environment Agency, un capo di abbigliamento in tessuto sintetico può rilasciare fino a 1.900 fibre sintetiche ad ogni lavaggio. Le emissioni di microplastica derivate dal lavaggio di indumenti rappresentano il 35% di tutte le microplastiche in acqua.

Questi dati evidenziano come la questione della sostenibilità nel settore moda sia un tema dalle diverse sfaccettature, in cui va preso in esame l’intero ciclo di vita di un capo. Alcune associazioni no-profit e aziende stanno concentrando i loro sforzi nella creazione di una catena di approvvigionamento più trasparente e attenta alla salute dell’animale e del pianeta.

Un esempio è Textile Exchange, l’organizzazione che attraverso il Responsible Wool Standard (RWS) certifica la lana proveniente da allevamenti che tutelano l’animale e l’ambiente. Va nella stessa direzione la decisione di molti brand, incluso il nostro, di sostituire le fibre di lana vergine con materiali riciclati.

Come vi abbiamo raccontato in un articolo di qualche tempo fa, la scelta di utilizzare lana vergine certificata RWS e lana rigenerata ci aiuta a ridurre l’impatto della filiera produttiva sull’ambiente e a tutelare il benessere degli animali, preservando la qualità delle nostre pantofole.

Tornando quindi alla domanda iniziale, ovvero se le calzature vegane possano essere definite sostenibili, la risposta è: dipende. Come abbiamo visto, i fattori che rendono un prodotto sostenibile non sono legati esclusivamente (e necessariamente) alla natura dei materiali con cui è realizzato. Se la strada verso una moda davvero circolare è ancora lunga, una maggiore trasparenza e responsabilità da parte dei brand e una crescente attenzione alle tematiche ambientali da parte dei consumatori possono accelerare la transizione a un modello più sostenibile.