Lo scorso Marzo l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), ha pubblicato un nuovo rapporto contenente un'analisi dettagliata dell’impatto ambientale prodotto dai diversi settori industriali. Dal documento emerge che il comparto moda è al terzo posto per consumo di suolo e di acqua e al quinto posto per la quantità di gas serra generati. A ciò si aggiunge il massiccio impiego di materie prime per la produzione, il trasporto e la vendita al dettaglio dei capi: combustibili fossili, prodotti chimici e fertilizzanti per il terreno.
La crescente attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica verso il tema dell’ecologia e l’aggravarsi dell’emergenza climatica impongono ai brand di affrontare il problema dell’ecosostenibilità attraverso un approccio non superficiale. Ciò significa abbandonare la logica della “capsule collection ecologica” e prendere in considerazione tutto il ciclo di vita di un prodotto, a partire dalla produzione delle materie prime.
Va in tale direzione la decisione, da parte di alcuni grandi marchi di moda, di assumere un maggiore controllo (e in certi casi la proprietà) degli allevamenti e dei campi agricoli da cui ricavano le fibre tessili naturali. Attraverso un sistema verticalmente integrato e le pratiche di agricoltura rigenerativa, le imprese possono ridurre il consumo di risorse naturali generato dalla produzione delle materie prime. Grazie a un approccio “from sheep to shop” (dalla pecora al negozio) per gli allevamenti di ovini da lana e “farm to closet” (dal campo al capo) per la coltivazione del cotone è possibile tutelare l’ambiente, gli animali e le popolazioni che vivono in determinati habitat e salvaguardare i diritti dei lavoratori, garantendo al contempo materie prime di alta qualità.
L’agricoltura rigenerativa e i sistemi di allevamento di bestiame sostenibili consentono di proteggere la salute del suolo e la biodiversità, rigenerando l’ecosistema e mitigando il cambiamento climatico. Questi metodi prevedono l’utilizzo di colture diversificate, il pascolo di animali autoctoni, l’agroforestazione e la rinuncia all'uso di pesticidi e fertilizzanti sintetici, allo scopo di evitare l’inaridimento del terreno. Grazie all’agricoltura rigenerativa è possibile ottenere piantagioni più resistenti e produttive senza l’uso di prodotti chimici.
Il gruppo Ermenegildo Zegna, ad esempio, ha acquistato un allevamento di 12.000 ovini da lana merino nel New England, in Australia, cresciuti nel rispetto della qualità della vita degli animali e dei diritti dei lavoratori. Anche il Gruppo Kering - che controlla marchi come Gucci, Bottega Veneta e Balenciaga – ha da poco lanciato il Regenerative Fund for Nature, con l’obiettivo di trasformare 1 milione di ettari di coltivazioni e pascoli in pratiche rigenerative. Il Fondo offre sovvenzioni a cooperative agricole, responsabili di progetti, ONG e altri stakeholder disponibili a sperimentare e sviluppare tecniche agricole innovative per rigenerare il terreno.
L’agricoltura rigenerativa rappresenta un ulteriore passo verso la riduzione dell’impatto ambientale generato dall’industria della moda, a patto però che si inizi a produrre meno e meglio. Questo significa limitare il numero delle collezioni e di capi immessi nel mercato e proporre abiti e accessori più durevoli e di qualità, realizzati con materiali riciclati o prodotti in modo ecosostenibile.